Le artropatie sono patologie che interessano le articolazioni e le loro componenti anatomiche intrinseche (cartilagini, osso subcondrale e legamenti) ed estrinseche (tendini, muscoli e fasce) causando dolore e limitazione dei movimenti.
Le cause principali sono l’osteoartrosi primaria e secondaria, le artriti/connettivopatie (autoimmuni, infettive, dismetaboliche), i dismorfismi e le malformazioni congenite.
L’artrosi, primaria e secondaria, rappresenta la causa più frequente di artropatia. Si tratta di una malattia cronica che colpisce le articolazioni. Tutte le articolazioni possono essere interessate, alcune più frequentemente di altre. Si manifesta con una progressiva perdita del tessuto cartilagineo fino all’esposizione dell’osso sottostante (osso sub-condrale) provocando una conseguente alterazione della struttura articolare con dolore e limitazione della stessa. Non si tratta di una malattia della sola cartilagine, ma dell’intera articolazione (segmenti scheletrici, legamenti, capsule e persino i muscoli, deputati al movimento dell’articolazione, risultano spesso coinvolti). Non esiste attualmente una cura specifica. È un evento frequente e diffuso. Qualunque soggetto prima o poi, anche se in forme diverse e più o meno gravi (predisposizione genetica), verrà colpito, nel corso della propria vita, da una qualche forma di osteoartrosi primaria o secondaria. In generale, la prevalenza dell’artrosi è direttamente correlata all’età. Con l’aumento dell’età media risulta chiaro come il problema stia assumendo proporzioni smisurate.
Nel caso specifico dell’artrosi di caviglia intervengono anche fattori diversi, soprattutto se paragoniamo la tibiotarsica ad articolazioni come ginocchio e anca. La caviglia, al contrario del ginocchio e dell’anca, è un’articolazione che tende ad autostabilizzarsi grazie alla perfetta congruenza anatomica articolare. Parlando in termini geometrici possiamo immaginare la tibiotarsica come un tronco di cono non perfettamente regolare (domo astragalico) che ruota in una cavità speculare formata dai due malleoli, tibiale e peroneale e dal plafond tibiale. Questa conformazione rappresenta un fattore protettivo nei confronti dell’artrosi primaria ma anche fa capire come eventi traumatici in grado di alterare, anche minimamente, l’anatomia della caviglia siano spesso causa di importanti alterazioni artrosiche. Le cause più frequenti sono l’instabilità cronica di caviglia in esiti di lesioni legamentose, le fratture malleolari, di tibia, perone, astragalo e/o calcagno e le deformità congenite e/o acquisite, Non a caso circa il 70% delle artrosi di caviglia ha un’origine post-traumatica.
Ulteriori cause significative sono le malattie sistemiche infiammatorie croniche, come l’artrite reumatoide, o altre patologie in grado di indurre alterazioni articolari.
A prescindere dalle cause, il risultato finale sarà un’artropatia della caviglia con un conseguente quadro clinico doloroso, debilitante e purtroppo irreversibile. Il concetto che va sottolineato è che a tutt’oggi una articolazione artrosica non ha la possibilità di essere portata a guarigione anatomica con alcun tipo di trattamento conosciuto. Le indicazioni al trattamento si sono ampliate in proporzione al miglioramento delle tecniche chirurgiche e dei materiali. Il trattamento conservativo, con infiltrazioni endoarticolari associato a fisiochinesiterapia, rappresenta ancora un valido presidio nei casi iniziali e/o nell’intento di prolungare la vita dell’articolazione in previsione di un trattamento chirurgico (pazienti molto giovani o molto anziani, sportivi professionisti che tentano di terminare senza intervento la propria carriera, patologie concomitanti etc.). Si tratta di procedure palliative che non portano ad una guarigione definitiva ma che consentono in molti casi di prolungare il periodo di benessere articolare con una accettabile qualità della vita anche per diversi anni, prima di procedere ad un trattamento chirurgico. L’acido ialuronico e il tessuto adiposo autologo microframmentato (quest’ultimo spesso associato ad una artrolisi e/o una revisione catilaginea) sono un valido ausilio in questo ambito.
TRATTAMENTI CHIRURGICI
ARTROLISI TIBIOTARSICA ANTERIORE E/O POSTERIORE
Le artrolisi (interventi chirurgici che mirano a creare una migliore funzionalità di un’articolazione liberandola da aderenze con i tessuti che la circondano) dell’articolazione tibiotarsica sono un trattamento indicato nei pazienti affetti da patologie osteo-degenerative (osteoartrosi, artriti, condropatie del domo astragalico con o senza corpi mobili intra-articolari) sia primarie che negli esiti di lesioni tendineo-articolari sempre più frequenti dopo traumi contusivi e/o distorsivi e/o fratture, in esito di osteotomie/artroplastiche e in tutti i casi in cui possano residuare conflitti articolari o piccoli frammenti ossei e/o corpi mobili.
Il deficit di flesso-estensione dell’articolazione e il dolore articolare sono i principali sintomi. L’articolazione si presenta spesso rigida in flessione e/o in estensione con dolore durante i movimenti. Le artrolisi mirano a ripristinare una buona funzionalità articolare e tendinea riducendo anche il dolore. Lo scopo è ottenere una liberazione completa dell’apparato articolare (artrolisi). In caso di presenza di piccoli frammenti ossei e/o osteofiti sarà necessario rimuoverli o stabilizzarli per evitare possibili conflitti articolari. Nelle forme di artropatia degenerativa sono spesso presenti voluminosi osteofiti che necessitano di ampia resezione chirurgica. In aggiunta all’artrolisi, spesso, utilizzo anche la viscosupplementazione (infiltrazione endoarticolare e peritendinea) con acido ialuronico intraoperatorio e postoperatorio. In casi di importanti lesioni osteocondrali preferisco l’innesto di cellule adipose autologhe microframmentate e/o scaffold dedicati (substrati di collagene, su misura, utilizzati per riempire le cavità osteocodrali dopo pulizia chirurgica e che favoriscono l’attecchimento delle cellule adipose in tali sedi). Questo tipo di intervento risulta molto utile in quei casi in cui la funzione articolare risulti ancora accettabile con lievi sintomi significativi e/o si ritenga prematuro il trattamento protesico ( pazienti molto giovani, sportivi o in pazienti non indicati per una protesi o un artrodesi).
L’intervento (in artroscopia solo in casi selezionati con lieve artropatia) prevede un incisione cutanea anteriore alla tibiotarsica di pochi cm (variabile anche in funzione delle dimensioni del segmento in questione) e/o posteriore (in caso di artrolisi posteriore e/o asportazione di os trigonum sintomatico). Si proteggono i fasci vascolo nervosi (arterie e nervi) e si esegue la capsulotomia (l’apertura della capsula articolare tibiotarsica). Si asportano eventuali osteofiti (formazioni ossee simili a veri e propri sassi) che sono tipici della patologia osteoartrosica e/o postraumatica e/o osteocondritica. Con appositi microstrumentari dedicati si esegue una revisione articolare conservativa cercando di ripristinare una articolazione congruente e priva di conflitti.
INNESTO DI CELLULE ADIPOSE MICROFRAMMENTATE
I grandi vantaggi che si possono ottenere grazie alla medicina rigenerativa sono ancora in fase di studio, nonostante alcune di queste tecniche siano utilizzate in ortopedia da più di vent’anni. Il potenziale di queste tecniche è certo ma, nella pratica, dipende molto dalla risposta dell’organismo del singolo paziente, quindi non è possibile avere una garanzia del risultato. D’altra parte, sebbene non sia possibile rigenerare i tessuti oltre un certo limite, non vi è dubbio che queste tecniche consentano di ottenere benefici nella maggior parte dei casi.
L’innesto di cellule adipose microframmentate autologhe (prelevate in precedenza dall’addome mediante lipoaspirazione percutanea) avviene dopo la chiusura della capsula articolare. L impianto di scaffold su misura (substrati di collagene) avviene, se necessario, prima della sutura della capsula articolare.
Il decorso postoperatorio prevede una breve immobilizzazione con tutore (15 giorni circa) e carico precoce (20/40 giorni a seconda del tipo di innesto). Fondamentali Kinetec a domicilio dopo 15 gg e intensa rieducazione fisiochinesiterapica sia in acqua che in palestra in centri autorizzati e specializzati e sotto supervisione del chirurgo.
ARTROPROTESI DI TIBIOTARSICA
Il trattamentoelettivo delle gravi artropatie di tibiotarsica è l’artroprotesi totale. Il concetto su cui si basa questo intervento è la sostituzione delle articolazioni degenerate con impianti di strutture metalliche (ora anche in titanio in caso di pazienti allergici al nichel) e sintetiche su misura. Ne esistono di svariate tipologie tutte più o meno simili e valide. Ogni chirurgo ha le sue preferite. Io prediligo l’accesso anteriore che mi consente di mantenere una perfetta stabilità articolare e il massimo rispetto anatomico. Installo una tipologia di protesi a tre componenti di cui due metalliche con interposta una parte in polietilene. A prescindere dalle varianti protesiche e dalle tecniche chirurgiche, questo tipo di intervento ha cambiato la storia chirurgica dell’artropatia tibiotarsica che era rappresentata unicamente dall’artrodesi. Le indicazione ai due tipi di intervento sono ben delineate. L’artrodesi rappresenta ancora, in casi selezionati, uno strumento valido nelle gravi artropatie.
Nel paziente anziano l’artroprotesi è sempre preferibile, nei casi in cui sia indicata, all’artrodesi perché consente una più rapida mobilizzazione del paziente e tempi di recupero più veloci. Anche nel paziente giovane con grave artropatia tibiotarsica resistente a trattamenti più conservativi è preferibile perchè consente la conservazione di una buona funzionalità articolare senza sovraccaricare le articolazioni vicine (evento inevitabile con l’artrodesi). Il limite della protesi è la durata ma i follow-up sono incoraggianti. Installo protesi di caviglia da oltre 20 anni e raramente ho dovuto reintervenire su uno stesso paziente e comunque sempre e solo con la sostituzione della componenete polietilenica che in realtà è l’unica parte della protesi soggetta ad usura. L’artroprotesi di caviglia (tranne rari casi) può essere considerata a tutti gli effetti una procedura “resurfacing” cioè estremamaente conservativa per le strutture articolari. Questo, grazie anche alla peculiare conformazione articolare, consente quando installata in modo corretto e in pazienti selezionati adeguatamente, una durata prolungata delle componeneti metalliche. Il timore iniziale di rapide alterazioni protesiche con necessità di precoci revisioni chirurgiche è a poco a poco diminuito nella pratica. Spesso sono le indicazioni troppo allargate che portano ad insuccessi o scarsa durata. Nella mia esperienza ho imparato che un’accurata selezione del paziente e una rigorosa tecnica chirurgica associate ad una corretta fisiochinesi terapia con un’attenta preparazione del paziente per il prosieguo delle proprie attività, portano a risultati ottimali anche in termini di durata.
L’intervento prevede un ‘incisione cutanea anteriore alla tibiotarsica di circa 15 cm (variabile anche in funzione delle dimensioni del segmento in questione). Si proteggono i fasci vascolo nervosi (arterie e nervi) e si esegue la capsulotomia (l’apertura della capsula articolare tibiotarsica). Si asportano eventuali osteofiti (formazioni ossee simili a veri e propri sassi) che sono tipici della patologia osteoartrosica e/o postraumatica. Con appositi strumentari dedicati per ogni tipo di protesi, si creano i presupposti per l’installazione protesica asportando piccoli segmenti ossei che sono misurati in funzione del tipo di protesi, la sua dimensione e la dimensione della tibiotarsica in oggetto. Poiché si tratta spesso di esiti traumatici, l’intervento prevede una personalizzazione in base alle lesioni pre-esistenti che va dalla accurata pulizia chirurgica da osteofiti e/o corpi mobili intrarticolari fino alla resezione parziale dei malleoli e/o dell’osteotomia degli stessi e la ricostruzione di legamenti (se danneggiati). Dopo la procedura chirurgica si esegue un controllo radiografico intraoperatorio che consente di valutare la perfetta installazione. Si esegue il test di mobilizzazione passiva e si procede alla sutura per piani tissutali. Il decorso postoperatorio prevede una breve immobilizzazione con tutore (tra i 20 e i 40 giorni a seconda del tipo di intervento), carico precoce con intensa rieducazione fisiochinesiterapica sia in acqua che in palestra in centri specializzati e sotto supervisione del chirurgo.
ARTRODESI TIBIOTARSICA
L’artrodesi, cioè l’anchilosi indotta chirurgicamente, dell’articolazione tibiotarsica è un trattamento irreversibile e, in un certo senso, invalidante ma che trova ancora molte indicazioni e porta spesso a notevole soddisfazione del paziente. Parliamo sempre di casi complessi, sia a livello articolare che per caratteristiche generali del paziente, in cui non vi siano corrette indicazioni al trattamento protesico. Ogni paziente va studiato in base a molti parametri. Si tratta anche in questo caso di una procedura chirurgica complessa che richiede rigore e preparazione.
L’indicazione è per gravi artropatie primarie e/o secondarie della tibiotarsica in esiti di fratture-lussazioni tibiotarsiche e/o di retro/mesopiede, grave degenerazione postraumatica o reumatoide, piede piatto o cavo degenerativo dell’adulto, piede di Charcot, piede neurologico in caso di fallimento di o in associazione a palliativi muscolo-tendinei. Rappresenta ancora un trattamento elettivo in alcuni casi di piede neurologico, diabetico e in gravi malformazioni congenite o acquisite. Il fine dell’intervento è di bloccare in modo permanente e irreversibile l’articolazione tibiotarsica. In alcuni casi sarà necessario l’utilizzo di un innesto di materiale osseo biologico (preferibilmente autologo cioè prelevato dal paziente stesso; solitamente effettuo il prelevo dalla tuberosità tibiale cioè appena al di sotto del ginocchio o dalla cresta iliaca). Per la sintesi (cioè il blocco delle articolazioni) utilizzo prevalentemente viti in titanio cannulate. Dopo l’intervento l’arto sarà immobilizzato con apparecchio gessato per 40 gg e non potrà essere concesso il carico libero per 2 mesi. Ovviamente l’articolazione trattata diverrà inutilizzabile (ma di solito lo è già prima dell’intervento) e quindi la mobilità residua sarà garantita in modo parziale dalle articolazioni vicine che inevitabilmente andranno incontro ad un progressivo deterioramento. Anche in questo caso la fkt e la rieducazione assistita in acqua in centri specializzati e autorizzati sarà fondamentale.