Le fratture dello scafoide carpale sono le più frequenti tra le fratture del carpo.
Riguardano prevalentemente il giovane adulto.
Senza entrare troppo in complesse questioni di biomeccanica e anatomia, vorrei sottolineare solamente come questo tipo di frattura necessiti di due cose: una sintesi stabile e una mobilizzazione del polso più precoce possibile (soprattutto nell’atleta professionista). Risulta pertanto evidente come l’utilizzo dell’apparecchio gessato sia ormai obsoleto anche per quelle fratture cosiddette “stabili” che fino a qualche anno fa venivano sistematicamente ingessate per quasi 2 mesi.
La conseguenza di una sintesi non stabile è una successiva mancata consolidazione della frattura con la formazione di una “pseudoartrosi”, cioè una rima di frattura che non consoliderà mai. Anche le pseudoartrosi vengono attualmente trattate con le viti cannulate in compressione.
Ritengo che attualmente la sintesi chirurgica con vite “in compressione” sia delle fratture che delle pseudoartrosi di scafoide, tranne rari casi, rappresenti la procedura di elezione.
Le viti cannulate a compressione del focolaio di frattura sono in uso ormai da qualche decennio. Questo tipo di dispositivo consente una sintesi stabile e permette di mobilizzare precocemente il polso.
L’intervento può essere effettuato, in alcuni tipi di fratture composte, per via percutanea (cioè senza incisione della cute) oppure con una piccola incisione al polso. Dopo l’intervento è sufficiente portare un tutore al polso per 4 settimane (8 per le pseudoartrosi) e poi iniziare una cauta ma progressiva rieducazione.