Mai sottovalutare un bruciore ricorrente al piede: la sindrome del tunnel tarsale

Canale tarsale

La sindrome del tunnel tarsale è una patologia ancora poco conosciuta ma molto più frequente di quanto si creda. I sintomi sono spesso, soprattutto nelle fasi iniziali, poco definiti. Questo spiega, in parte, il motivo delle mancate diagnosi.

La sindrome (cioè una patologia caratterizzata da svariati sintomi) è causata dalla compressione del nervo tibiale posteriore nel canale tarsale situato nella parte interna del piede al di sotto del malleolo tibiale.

Il tunnel tarsale è situato sul lato interno della caviglia. L’astragalo e il calcagno ne costituiscono il pavimento osseo. Il tetto, ossia la parte più superficiale, è invece costituito dal retinacolo dei flessori del piede. All’interno del canale, oltre al nervo tibiale posteriore, si trova l’arteria tibiale posteriore con il suo plesso venoso e i tendini tibiale posteriore, flessore lungo dell’alluce, flessore lungo delle dita. Distalmente al canale il nervo, dopo aver emesso la branca calcaneare mediale, attraverso le fibre del retinacolo, si divide nelle sue due branche terminali: plantare mediale e laterale. Le cause della sofferenza del nervo all’interno del canale tarsale sono molteplici ma il concetto è estremamente semplice. Trattandosi di una struttura rigida (pareti ossee e fibrose), qualsiasi aumento di volume di ciò che è contenuto nel canale porterà ad una sofferenza del nervo che, per natura, è molto più sensibile alle compressioni rispetto ai tendini e i vasi presenti. Quindi una tendinopatia di uno dei tre tendini suddetti, un aumento di volume del plesso venoso (spesso per varici), le neoformazioni (spesso cisti tendinee o lipomi), le fratture che alterino la conformazione del pavimento osseo, le contusioni ripetute (macro e micro) della parete fibrosa (calzature, attività sportiva/lavorativa), i dismorfismi del piede (piede pronato), le patologie sistemiche (artrite reumatoide, psoriasica) e le malattie dismetaboliche possono causare una sindrome del tunnel tarsale. Sia l’eziopatogenesi che la sindrome sintomatologica che ne deriva, accomunano questa patologia alla ben più nota sindrome del tunnel carpale.

Le cause esterne sono, in molti casi, determinanti. Spesso si tratta di atleti o lavoratori che sovraccaricano gli arti inferiori. Le calzature, come detto, possono influire creando situazioni microtraumatiche ripetute sul canale. L’obesità, in quanto causa di sovraccarico degli arti inferiori, rappresenta un ulteriore importante fattore. Le fasi iniziali della patologia sono caratterizzate da un dolore urente (sensazione di bruciore) spesso non ben definito all’interno e sotto la pianta del piede, al tallone e/o sotto le dita. Come si intuisce, questi sintomi sono comuni a molte altre e più conosciute patologie che quindi vengono spesso erroneamente diagnosticate: fasciti plantari, metatarsalgie, lombosciatalgie.

Le diagnosi errate portano naturalmente a terapie inutili che non risolvono ovviamente i problemi ma anzi, spesso, li amplificano.

L’esame obiettivo e una accurata anamnesi sono fondamentali per indirizzarsi verso una corretta diagnosi. Il primo sintomo è di solito un dolore e/o un bruciore dietro e sotto il malleolo mediale a cui si associano parestesie (formicolio) sotto il tallone e la pianta del piede fino alle dita. Questi sintomi vengono accentuati da manovre di stimolazione della regione retro e sottomalleolare (Segno di Tinel). Con il tempo il dolore diventa invalidante con deficit della deambulazione. In alcuni casi il paziente è costretto a fermarsi, togliersi la scarpa e a massaggiare il piede (questo è tipico anche nel caso di presenza di neuroma di Morton).

Il dolore spesso si irradia anche prossimalmente lungo il margine mediale del polpaccio. La sintomatologia all’inizio è intermittente e si riacutizza in occasione di lunghe camminate, corse o mantenendo la stazione eretta prolungata. Talvolta raggiunge la sua massima intensità al mattino dopo il riposo notturno. Ciò può dipendere dal fatto che il periodo di inattività motoria associato alla posizione sdraiata, determinano una congestione dei plessi venosi che circondano il nervo per cui la compressione aumenta. Nelle fasi più avanzate si può notare una riduzione volumetrica (ipotonotrofia) dei muscoli della pianta del piede che a sua volta può associarsi ad una evidente riduzione di forza nella flessione delle dita del piede (“fase deficitaria”).

Una compressione frequente del nervo tibiale posteriore si verifica nel segmento anatomico che delimita il passaggio tra la fascia profonda del muscolo abduttore dell’alluce e il margine mediale del muscolo quadrato del piede: interessa la branca plantare laterale. In questo caso molto suggestiva ai fini diagnostici è la dolorabilità alla palpazione e alla percussione in profondità dell’abduttore dell’alluce. Si tratta di un tipico dolore puntiforme alla palpazione nel punto che si trova alla giunzione della cute plantare con quella mediale circa 5 cm. davanti al margine posteriore del calcagno Il cosiddetto nodo di Henry (punto d’incrocio tra flessore lungo dita e flessore lungo dell’ alluce a livello osso scafoide) rappresenta invece la zona ove si realizza la compressione del nervo plantare mediale. La compressione di questo nervo ha per lo più un origine “ funzionale “. Infatti si riscontra soprattutto in coloro che praticano jogging come conseguenza dei microtraumi ripetuti subiti dal nervo a seguito della corsa.

La diagnosi clinica, come detto non sempre semplice, è confermata dall’elettromiografia (EMG), esame fondamentale per una diagnosi certa. L’EMG purtroppo presenta alcuni limiti significativi. I falsi negativi sono frequenti. Questo può dipendere da un esame non molto accurato, da un apparecchio poco sensibile ma anche dal fatto che alcuni tipi di compressione, come detto, anno un’origine funzionale, cioè si manifestano solo durante alcuni tipi di attività. In questi casi l’esame obiettivo ed una attenta anamnesi portano alla diagnosi. Le radiografie sono meno significative ma comunque utili per valutare eventuali esiti di frattura o dismorfismi ossei. Anche l’ ecografia e la risonanza magnetica ad alto campo possono essere di aiuto per vedere il nervo nel suo decorso, misurare la sua sezione e individuare eventuali punti dove risulta compresso ma soprattutto per evidenziare eventuali processi espansivi nel canale.

Intervento chirurgico

L’intervento chirurgico rappresenta, come in tutte le sindromi canalicolari compressive, il trattamento elettivo. Il ricorso a trattamenti conservativi (riposo, terapie antiinfiammatorie, fisiochinesiterapia) ha significato nelle fasi iniziali e per periodi limitati. In presenza di una sicura e ingravescente sofferenza del nervo tibiale posteriore, l’intervento deve essere indicato senza troppi indugi. I nervi non sopportano la compressione per periodi prolungati. Il rischio è quello di oltrepassare il limite di recupero funzionale del nervo che manterrà quindi un deficit anche importante nonostante la decompressione chirurgica.

Per il trattamento chirurgico eseguo una incisione curvilinea mediale perimalleolare di circa 5 cm e in circa 5 minuti. Con questo piccolo accesso è possibile individuare in massima sicurezza il nervo e le strutture perineurali ed effettuare una sezione completa del retinacolo fino al suo impegno al di sotto dell’aponeurosi del muscolo abduttore dell’alluce ottenendo una liberazione sicura e permanente del nervo stesso. Non concedo il carico per circa 15 giorni.

Per il trattamento postoperatorio sarà necessaria la rieducazione in acqua da iniziare dopo circa 15 gg e da proseguire per almeno 20 gg. 

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